domenica 30 gennaio 2011

ZIO VANJA: il C.I.T. ad una nuova prova

dal Webmagazine
di Francesca De Rosa


"Noi vivremo, Zio Vanja. Vivremo una lunga, una lunga sequela di giorni, di interminabili sere".

Il Centro di Igiene Teatrale, compagnia composta in buona parte anche da studenti ed ex dell'Orientale, mostra stavolta un lavoro di taglio decisamente diverso da quelli visti sinora.
Una scenografia che richiama una spoglia tenuta di campagna e le prime battute già intrise di una nostalgia che accompagnerà l'intera opera ci proiettano subito nella lontana periferia russa dell'Ottocento: niente risate stavolta a Spazio Libero, lo si capisce fin da subito; al massimo ai presenti è concesso qualche sorriso amaro. Attuale più che mai per la rassegnazione generale e per la negazione di un qualsiasi dinamismo, che contraddistinguono la nostra epoca, la storia si sviluppa fondamentalmente intorno ai personaggi di Sonja (Lauraluna Fanina) e suo zio Vanja (Antonio Lepre), che dal rapporto con la grande famiglia allargata ne escono veramente sconfitti e traditi e che condividono, tra l'altro, le dure pene dell'amore non ricambiato. Il senso di inadeguatezza, di noia ma soprattutto di insoddisfazione è comunque dilagante: i personaggi perdono consistenza e più che di carne ed ossa sembrano trasformarsi in grigie ombre dai contorni sbiaditi. Ciò che li caratterizza è sicuramente l'immobilità e la preoccupazione, che a un tratto diventa certezza, di aver ormai sprecato la propria vita come nel caso del professore Aleksandr (Michele Maria Lamberti), vecchio, malato, frustrato di fronte alla sua stessa mediocrità, della sua giovane moglie Elena (Francesca Florio), bella ma algida e sostanzialmente incapace di amare, o anche del dottor Astrov (Stefano Aloschi), filantropo sottrattosi a ogni tipo di emotività. Tre figure di contorno chiudono il cerchio: Ilja (Roberto Minichini), possidente impoverito, Marija (Melania Scarpato), madre di Vanja e ammiratrice imperterrita del professore, Marina (Maria Di Mare), vecchia balia di famiglia; tre sagome che pure non riescono a sostenere la vita e che sono quindi, anch'esse, costrette a rifugiarsi in qualcosa che nella fattispecie si concretizza rispettivamente nell'alcol, nei libri e nella memoria.

Il pubblico, insomma, è spinto sì alla riflessione, come al solito d'altronde, ma contemporaneamente non può che sentirsi pervaso dal desiderio di azione: lasciare la sala con la leggerezza e la spensieratezza che accompagnano tradizionalmente i lavori del Centro di Igiene Teatrale sarà dunque pressoché impossibile stavolta, e il senso di oppressione sarà talmente attanagliante da poter comprendere fino in fondo il significato della parola “speranza”. Esigenza oggi molto avvertita.

venerdì 28 gennaio 2011

ZIO VANJA: il rifiuto di una vita disgustosa

dal QUOTIDIANO IL ROMA
Marco Altore

Ritorna a respirare l’aria del teatro di fine ottocento, in particolare quel caratteristico modo di mettere in scena momenti di vita vissuta, ormai lontana, di un popolo che appare distante nel tempo ma che per certi versi è più vicino a noi più di quanto si possa immaginare. Al teatro Spazio Libero del Parco Margherita, andrà in scena, a partire da oggi (ore 18) fino domenica, lo spettacolo, di Anton Cechov, “Zio Vanja”. L’opera è considerata la più importante di Cechov, ha come tema centrale ciò che ormai si considera come “vita disgustata”, tema che si può osservare attraverso i personaggi e le loro rispettive miserie dal punto di vista economico, morale e spirituale. La povertà di Zio Vanja non si rispecchia, però, nella mancanza di un bene materiale, ma è riscontrabile nell’incertezza di non-essere per nessuno.

È come sentirsi, secondo il regista, l’ultima foglia di un albero secco in pieno inverno, la quale resta lì tremolante in attesa di una folata di vento per cadere. Questa folata però tarda ad arrivare, ma arriverà. La riduzione e il riadattamento dell’opera di Anton Cechov, Zio Vanja, eseguiti da Antonio Lepre, colgono quella “immobilità” cechoviana presente più che mai nel nostro vivere quotidiano. “Bisognava agire” è il continuo rimprovero di Cechov agli spettatori e, anche oggi, sembra forte questo slogan. Il parallelismo tra la società di Cechov e la nostra sta nel fatto che sia la società russa, oligarchica e burocrate all’inverosimile, sia la società italiana, con tutte le sue complessità, rendono faticoso al singolo individuo di progredire, di emanciparsi intellettualmente, di elevarsi socialmente ed economicamente. «Non è detto che una compagnia di giovani - dice Antonio Lepre, attore e regista - a Napoli debba mettere in scena solo testi conosciuti dal vasto pubblico. È importante riscoprire i classici per amare il presente. Riportare in auge le nostre radici teatrali, riqualificare un patrimonio artistico lontano più di un secolo, mostrare le attitudini storiche di un popolo allo stesso tempo diverso e simile al nostro,dal quale potremmo scoprire gli errori che ci portiamo dietro da centinaia di anni. Questo è il nostro obiettivo». Presenti nel cast Lauraluna Fanina, Roberto Minichini, Stefano Aloschi, Antonio Lepre, Maria Di Mare, Francesca Florio, Michele Lamberti, Melania Scarpato.

giovedì 13 gennaio 2011

Centro di Igiene Teatrale: la rivalsa degli studenti


di Francesca De Rosa
pubblicato su webmagazine l'orientale
foto di Rosa Sanzone


“I tagli ai fondi destinati allo spettacolo sono indegni se pensiamo alla potenza di questo mezzo di comunicazione e aggregazione”

Non c'è teatrante che a Napoli non conosca Teatro Spazio Libero, lo storico spazio aperto nel 1974 da Vittorio Lucariello: è stato primo focolaio della carriera di numerosi artisti con nomi oggi altisonanti ma che un tempo furono sconosciuti ai più. Spazio Libero ospita da tre anni un gruppo di ventenni o giù di lì che non bada all'onere del compito ma che sembra piuttosto prendersi gioco delle regole in vista di un unico scopo: divertirsi e divertire. Cosa non facile.

Si tratta del Centro di Igiene Teatrale, una compagnia che conta la presenza di circa quaranta componenti fra studenti ed ex la cui provenienza, nella maggior parte dei casi, è legata all'Orientale. Molti di loro sono alle prime armi ma nonostante ciò si muovono con sicurezza sul palco e non lasciano trasparire l'ansia che a pochi minuti dall'inizio dello spettacolo li aveva paralizzati o, per contro, li aveva costretti ad un frenetico viavai di corpi e copioni. È il caso, ad esempio, di Federica che ha giusto il tempo di dirci una parola su un'esperienza che consiglia a tutti. Poi sparisce dietro le quinte a ripetere la parte. O anche di Gianpiero, che ha scoperto questa passione studiando storia del teatro, e di Francesco che – ci confessa – riesce così ad appagare la sua sete di protagonismo.

Altri invece sono piuttosto rodati e lo si nota anche dalla disinvoltura con cui rilasciano le proprie dichiarazioni: “per il mio personaggio – dice Barbara – ho preso spunto da un'amica: ho cercato di riprodurre il suo essere un po' frivola, un po' vamp e alla fine mi sono divertita. In fondo è questo ciò che conta”. “Il teatro – irrompe Paola – è una possibilità per superare la propria timidezza oltre ad essere un’enorme soddisfazione per noi egocentrici”. Ma non solo; c’è anche chi vuole fare di questa passione il proprio mestiere: Alberto, ad esempio, recita da otto anni e da grande vuole fare proprio l’attore. “È una delle poche cose che mi riescono veramente bene – afferma il giovane artista - adoro il rapporto con il pubblico, essere padrone della scena e per questo andrò a studiare in un’accademia di recitazione a Roma”.

Alla guida della troupe c'è Antonio Lepre, venticinquenne regista e sceneggiatore che si diletta nel riadattamento di capolavori della tradizione teatrale partenopea come nella stesura di testi inediti concepiti per la scena: “il pubblico, soprattutto quello napoletano, deve poter ridere per venire a vedere uno spettacolo”, ha ripetuto più volte Lepre, per il quale però “il fatto di ridere e far ridere non significa non poter trattare tematiche importanti, magari esasperate fino alla ridicolaggine, ma pur sempre di indubbia consistenza.” Il rammarico di questo drammaturgo in erba, che si autodefinisce “un arrabbiato”, è però legato alla scarsissima considerazione di cui gode il teatro in generale: “siamo futuri precari, ancor più se considerati attori, oltre che studenti. I tagli ai fondi destinati allo spettacolo sono indegni se pensiamo alla potenza di questo mezzo di comunicazione e aggregazione”.

Far parte di questa compagnia è un'emozione palpabile e autentica. Chi attraversa simili esperienze capisce bene cosa significhi che il teatro sia un'esperienza che si fa dal vivo: la cosa riguarda sì gli spettatori, ma anche gli attori, e si tratta di una scarica che dura dal primo incontro all'ultima scena di ogni serata. Fare teatro è un modo di essere e può essere per la vita: lo si capisce in un solo momento, ed è fatta. Del resto a vedere i ragazzi del Centro di Igiene Teatrale – o meglio: a vederli in un contesto come questo di Spazio Libero – lo si capisce bene: ogni momento vale come gioco e piacere ma anche come scambio di rappresentazioni culturali e di relazioni difficili da realizzare nei più consueti circoli teatrali delle produzioni irreggimentate. Una freschezza che gli si augura di conservare sempre.

A vedere in scena questi giovani attori non si può fare d'altronde a meno di constatare la distanza abissale tra talune forme di rappresentazione plastificata della vita, tipicamente da certa prima serata televisiva e quella che, si può senz'altro dire, è una rappresentazione artistica autenticamente umana e umanizzante. Dunque, con un valore intrinseco senz'altro ragguardevole.

http://magazine.unior.it/ita/content/centro-di-igiene-teatrale-la-rivalsa-degli-studenti